martedì 12 marzo 2013

SHANGHAI di Simone



Un viaggio di lavoro.
Per la prima volta dall'altra parte del mondo: destinazione Shanghai.
All'aeroporto di Zurigo mi imbarco su un aereo che le mie gambe lunghe hanno maledetto tutto il faticoso viaggio.


Arrivati in città, se di città si può parlare, sono rimasto subito colpito dalla sua imponenza e dalla modernità: c’è proprio da chiedersi cosa c’entri con la Cina.

Sistemato in albergo, alla faccia della superstizione, il diciassettesimo piano offre almeno un buon panorama.


Praticamente insonne sfrutto la giornata domenicale per sbirciare la città, per cogliere qualche angolo panoramico ed ammirare dal Bund l’imponenza della “City” finanziaria di Shanghai. 
La giornata splendida regala una vista da cartolina.


Nel giro turistico, mi sono imbattuto in un tempio: un inebriante profumo di incenso immerso nelle tipiche linee architettoniche cinesi.



Un’oasi di quiete che fa da contraltare alla proverbiale laboriosità che contraddistingue questa popolazione.



Passeggiando poi per la via dello shopping (Nanjing Road), in mezzo a migliaia di persone, improvvisamente si materializzano vicoli che sanno di tradizione: come se la vecchia Shanghai, con le unghie, resistesse alla modernità che tutto spazza via.



Accanto a fiumi di persone, per lo più a testa bassa sui telefonini, che si riversano nelle strade...


...si trovano anche brandelli di disperazione.



Una caratteristica della città la si nota di sera: un’esplosione di luce tra le strade e tra i grattacieli.



Ogni tanto anche loro adottano il nostro “m’illumino di meno” e sfortuna volle che fosse proprio coincidente con la serata che avevo disposto per la foto panoramica notturna dal Bund: metà dei grattacieli era priva di luci!! Nonostante la menomazione visiva, lo spettacolo è stato comunque incredibile.


Passeggiando tra i vari quartieri si incontrano delle immagini buffe, a volte stridenti con la realtà moderna della città, come articoli vintage fuori dal tempo.





Ma rimane impressionante la pulizia e la cura delle strade: migliaia di fiori ovunque.


Non poteva infine mancare l’ascesa all’apice del “cavatappi”: ancora per poco il più alto grattacielo del mondo.

Dal basso appare così...



...ma una volta saliti a quasi a 500 mt, la vista è mozzafiato. Nonostante la foschia e lo smog, si domina la città.




Tornati a terra, immersi nella foschia e nello smog, di nuovo ad intrufolarsi nella folla e nei colori di fiori e bandiere sventolanti, sempre sotto l’occhio vigile di telecamere e poliziotti.



Nei ritagli di tempo che il lavoro ha concesso, una toccata è stata data anche agli Yougarden, uno dei pochi luoghi tradizionali di una Shanghai oramai troppo simile a New York.

Nei negozi adiacenti ai giardini la folla è pressante, ma qualche sguardo si riesce comunque a catturare: umano...


 ...e non


All'interno dei veri e propri giardini, in viottoli stretti e scorci meravigliosi...


...immersi nei peschi precocemente in fiore


...si respira un’aria fuori dal tempo.


Dopo molte foto, intese a cogliere i particolari di questo posto incantevole, ci si ributta nella folla alla volta dei mercati.

Prima però un pranzo fugace nei viottoli colorati della Concessione Francese.


Arrivati nei “grandi magazzini” delle griffe "tarocche", c’è posto anche per un minuscolo negozio di tè, con un signore gentilissimo: dopo un’ora di conversazione e 5 tazze di tè, non si poteva uscire a mani vuote.


In definitiva questa è una città da considerare molto occidentale, come architettura e come frenesia, anche se la filosofia di vita di questo popolo rimane ancora la stessa: perché preoccuparsi tanto del futuro?

Una foto al Terminal 2 dell’aeroporto e via a collezionare ancora troppe ore di aereo scomodo.


Cosa mi porto a casa da questo viaggio?

Anziani arzilli che danzano in ogni parco...


Molto traffico di auto e clacson e fili...


..e la consapevolezza che tra modernità e tradizione, tra interiorità e consapevolezza, occorre posizionarsi sempre nel “centro”.



martedì 22 gennaio 2013

BRUGES, FINE ANNO TRA I FIAMMINGHI


Franco ha passato la fine del 2012 nel capoluogo delle Fiandre occidentali, a Bruges, e usando le sue parole la descrive come..." una cittadina  stupenda , sembra di ritornare nel medioevo , l'atmosfera che si respira e' una cosa indescrivibile , bisogna trovarsi sul luogo per poterlo capire , il romanticismo esce da ogni singolo mattoncino di questa cittadina e poi al calar della sera tutto dolcemente si illumina e la mente fa il suo corso..."

Credo che la descrizione sia sufficiente a rendere curioso chiunque, e posso solo confermare quanto scritto, ci sono stata un po' di anni fa...un po' tanti a dire il vero, e anche quella volta era inverno, ma il freddo e la ricorrente pioggia non hanno di certo fermato la voglia di vedere e conoscere. Dai vicoli pregni di storia, alle signore affacciate alle porte che lavorano i merletti, alle birre ... Tutto rende questa città degna di essere visitata!
Grazie Franco!!!





giovedì 10 gennaio 2013

MAL D'AFRICA - ERITREA-ILVIAGGIODIVALE


Il ritorno alla realtà, alla vita di tutti i giorni, dopo aver passato un mese in Africa, e nello specifico in Eritrea, non è così immediato. Nel mese in cui si è via ci si immerge in una realtà totalmente diversa ed il tempo acquista un’altra scansione.
All'arrivo ci si guarda in giro un po’ spaesati. Scesi dall'aereo si piomba in un aeroporto, quello di Asmara, minuscolo, dove non esistono neppure gli autobus che portano i passeggeri al terminal d’arrivo. Successivamente si cominciano a compilare trecento scartoffie burocratiche identiche, di cui non si riesce a comprendere la reale utilità, e si passa da uno sportello all'altro perché ciascun impiegato ha il compito di leggere un’unica carta e non di più . Ricevuto poi il permesso per entrare nel paese si aprono le porte di questo buffo e minuscolo aeroporto e si comincia a respirare l’aria dell’Africa. Lo spazio che ti si apre all'orizzonte è enorme, la strada non è trafficata, non si affollano davanti la tua visuale mille edifici, né mille macchina che corrono a destra e a sinistra con fretta e smaniosità di fare chissà cosa. La gente è tranquilla e aspetta placidamente con il proprio carrello ed un’espressione ed una calma che oramai nel nostro mondo sembra quasi non esistere, un autobus che chissà quando passerà. Già cominci a sentire che qualcosa di diverso c’è, ti guardi intorno mentre la macchina dell’amico che ti è venuto a prendere comincia a portarti verso la città, e ti frullano in testa già mille interrogativi, anche molto stupidi e banali, su quel poco che hai visto durante i dieci minuti di tragitto. Perché non ci sono i cestini lungo le strade? Perché è pieno di donne che puliscono la strada? Non ci sono i cartelli di segnaletica verticale? Perché vedo solo vecchi e bambini? Perché gli unici manifesti che ci sono per le strade sono o quelli della Coca Cola o quelli dei preservativi (Abu Salama)?

Dopo aver divagato con la mente giusto il tempo del tragitto, impatti nella realtà, scendi dalla macchina e comincia il tuo vero viaggio. Ora devi cominciare a rapportarti con la gente del posto e ad entrare in contatto con la loro realtà e la tua nuova realtà nel luogo. Cominci ad immaginarti e a farti delle domande su come sarà il villaggio in cui dovrai cominciare la costruzione del pozzo, come sarà la gente, come sarà strutturato il villaggio…
Le domande cessano velocemente in quanto presto vieni portata nel villaggio di Medresien, in cui l’anno prima l’ong aveva già fatto un progetto analogo.
Scesa dal fuoristrada per raggiungere il villaggio (le strade, tranne quella principale,non esistono), senti strane urla in lontananza, ti viene detto che è il tipico urlo di accoglienza fatto dalle donne eritree.
Ecco, ora le vedi, sono donne,vestite tutte con i loro bellissimi abiti bianchi e
con dei fiori, della paglia ed i pop corn (nbabà) in mano. Appena ti vedono ti salutano con dei baci sulla guancia, tu sei già preparata ai classici tre baci, che ti hanno spiegato si usano dare, invece, per accoglienza, te ne vengono dati ad oltranza. Sei stupita e quasi emozionata, vedi in questa gente il vero affetto, la riconoscenza che hanno nei tuoi confronti per avergli dato, con poco, la cosa di cui hanno più bisogno, l’acqua. Continuano poi ad accoglierti cantando, lanciando nbabà e foglie verdi. Vieni ospitata nelle loro case tipiche, in pietra e freschissime, in cui ti fanno accomodare e cominciano a prepararti il caffè tipico (bum), il the( shai), e il gaat (polenta con burro fuso, berberè e yogurt) servito in un unico piatto dal quale tutti si servono e dal
quale, quando sei piena e non ce la fai più, cominciano anche ad imboccarti.
Finita la giornata al villaggio sei entusiasta, ti è rimasto qualcosa, qualcosa che non riesci a spiegare, però sai già che è qualcosa che ti rimarrà per sempre. Nei giorni a seguire cominci ad ambientarti un po’ per la città e parte delle tue domande iniziali trovano risposta, oltre ad apprendere molte altre informazioni. I cestini per la strada non ci sono perché in passato venivano riempiti all'inverosimile per cui ora il governo paga le donne per pulire le strade durante la notte; un tempo, prima che l’America si schierasse con l’Etiopia durante il conflitto tra Etiopia ed Eritrea, la Coca Cola era la bevanda nazionale ed erano presenti molte fabbriche nel paese ora però tutte chiuse; i numerosi manifesti dei preservativi sono dovuti ad una campagna del governo, riuscita con successo, per abbassare la mortalità dovuta all’aids. Più cominci a vivere questa nuova realtà più sei curiosa e cominci a farti sempre nuove domande.


Frequentando la gente locale molti altri perché trovano risposta. Per le strade, così come nei villaggi, trovi pochi giovani perché tutti, uomini e donne, a partire dalla fine dell’età scolare obbligatoria, hanno l’obbligo di fare il militare. Le questioni al confine con l’Etiopia, anche dopo l’indipendenza continuano sempre ad essere molto tese, inoltre quasi tutti gli esercizi e le attività sono statali, quindi parte dei nuovi militari fanno il servizio civile, che consiste nel lavorare in questi esercizi statali venendo sottopagati (6 euro al mese). 
Il servizio militare dura poi a tempo indefinito, si sa quando comincia, ma non si sa quando finisce. Tutte le famiglie hanno inoltre il cibo razionato e c’è un’elevata scarsità di materie prime. Le importazioni sono numerosissime, mentre le esportazioni quasi nulle. Non sono presenti praticamente fabbriche, solo tabacco, un’industria tessile quasi in fallimento (Dolce Vita) e una fabbrica di acqua gasata (mai gas). Girando per la città e visitando i paesi vicini ti rendi conto delle mille cose di cui avrebbero bisogno, oltre all’acqua. L’esempio più lampante è la discarica di Asmara, un’immensa distesa di immondizie a cielo aperto, appena fuori dalla città assolutamente priva di impianto di smaltimento ed oramai alimentata da incendio continuo.

Ora sei entrata nella realtà locale e sei perfettamente ambientata, è giunto finalmente il momento di andare nel villaggio di Adi-Tsenaf, il luogo scelto per la costruzione del pozzo. Durante la strada, fatta rigorosamente con una jeep per via dello sterrato, scopri quanto paradossale sia il prezzo della benzina(1.80 euro) e ti spieghi il motivo per il quale pur essendoci molte macchine la maggior parte siano ferme. La jeep si ferma e si apre attorno a te un magnifico paesaggio di terra rossa e delle bellissime case in pietra contornate da un sacco di muli che servono per portare l’acqua al villaggio. Appena scendi sei circondata da una schiera infinita di bambini che prima si avvicinano in modo timido, e ti guardano con degli occhi di una profondità che non hai mai visto prima, poi, appena prendono un po’ di confidenza e vedono la macchina fotografica, ti continuano a dire:”sailena, sailena!”(foto). È stupendo vedere i loro occhi curiosi e stupiti che guardano in una scatoletta la loro immagine e con così poco sembrano essere le persone più felici della terra. Come se ad un nostro bambino regalassi l’ultima play station uscita con 500 degli ultimi giochi ed altrettanti giocattoli. Guardandoti un po’ intorno capisci che i bambini, anche i più piccoli, si danno da fare e lavorano dopo la scuola. Finito il cammino per arrivare al luogo dello scavo del pozzo entri in contatto con il comitato dell’acqua, che ha il compito di gestire la risorsa al meglio, garantendo un’equa distribuzione a tutte le famiglie e un buono stato

dell’impianto. Il comitato è eletto democraticamente dagli abitanti del villaggio ed è formato da uomini e donne, che vengono ritenuti all'altezza di tale compito. Sei sinceramente stupita di trovare un tale esempio di parità tra sessi in un così piccolo villaggio dell’ Africa, così come sei stupita di altri esempi di elevata civiltà che riscontri nei giorni a seguire. Ti rendi conto che c’è una perfetta integrazione religiosa, nel calendario di stato sono previste le festività di ciascuna religione e spesso i musulmani per le loro festività, così come gli ortodossi per le proprie, invitano amici di altre religioni per festeggiare.
Sono assolutamente proibiti i sacchetti di plastica ed inoltre ciascun abitante ha il diritto solo ad un certo quantitativo di legname, per poter preservare la flora del luogo. Il Sweet Asmara Cafè con la sua tranquillità, il Sicomoro, Filmon, Finan, il meccanico Giovanni, Dahab che oramai è diventata la tua
mamma locale, Aman, il tuo fratellino africano, Mussie il tassista amico che ti ha chiesto di portargli per la prossima volta una grammatica inglese-italiano, sono oramai diventati la tua realtà. 
Ventidue giorni sono passati in fretta, è già giunta l’ora di tornare. Torni nel piccolo e buffo aeroporto, sali sull'aereo, quando ti svegli sei a Malpensa. Si aprono le porte, vedi la città. 
Cos'ha questa gente?
 Perché corre? Perché ha questa faccia impenetrabile?
Perché i bambini piangono e si lamentano? 
Dove sono? 
Voglio tornare in Africa…


Valentina